Il linguaggio dei segni, della parola, dei sogni. Tutti e tre si incontrano nell’opera di Emilio Tadini, in un’architettura studiata nel dettaglio.
E non possiamo parlare solo di pittura, dato che l’intellettuale di Milano fu un “artista totale”: pittore, scrittore, poeta, critico letterario, saggista, drammaturgo, traduttore, sono solo alcuni dei nomi con cui è stato chiamato.
Esordì appena ventenne con un poemetto sul “Politecnico” di Vittorini, nel 1947. Quattordici anni dopo, nel 1961, espose per la prima volta i suoi quadri alla Galleria del Cavallino a Venezia. Nel mezzo, una passione inesauribile per la scrittura che non lo abbandonò mai per tutta la vita.
Non stupisce che Umberto Eco, suo amico, lo definì “uno scrittore che dipinge, un pittore che scrive”.
Dall’arte onirica di Hieronymus Bosch, passando per la metafisica di De Chirico, al surrealismo di Magritte, alla Pop Art inglese, il linguaggio di Tadini si evolve e si attualizza in un linguaggio personale e distintivo: una pittura immaginifica, infantile, visionaria. Un mondo deforme popolato da personaggi incombenti e – a tratti – inquietanti: maschere, uomini manichino, figure disumanizzate, sono le protagoniste delle visioni surreali di Tadini.

Il suo lavoro pittorico si sviluppa per cicli: ogni quadro è il tassello di una storia, riconoscibile solo grazie ad uno sguardo più ampio. È il racconto che incontra la pittura, un romanzo a puntate che sfida l’osservatore a ricomporre l’enigma.

Nel 2006 è stata inaugurata la Casa Museo Spazio Tadini, un luogo di memoria ma anche di ricerca e comunicazione tra artisti e tra le arti.
Fino al 12 maggio, nella sede di Milano in via San Marco 22, sarà visitabile l’esposizione dedicata all’opera pittorica di Emilio Tadini: un percorso da non perdere per conoscere più da vicino questo eclettico artista.
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