“Mari non è un designer, se non ci fossero i suoi oggetti mi importerebbe poco. Mari invece è la coscienza di tutti noi, è la coscienza dei designer, questo importa”
Così Alessandro Mendini, uno dei fautori del rinnovamento del design italiano degli anni settanta, definì Enzo Mari, il grande maestro scomparso il 19 ottobre scorso.
Per capire meglio questa affermazione dobbiamo tornare indietro agli anni cinquanta, precisamente quando Mari concluse gli studi all’Accademia di Brera nel 1956.
Già l’anno successivo, nel 1957, il giovane venticinquenne presentò il suo primo progetto a Danese Milano, l’azienda che supportò per prima – e che supporta tutt’ora – l’opera del maestro.

Enzo Mari – Tavolo mod. Frate con struttura in metallo laccato e legno.
Piano in cristallo molato. Prod. Driade, Italia, 1974
Fondamentale per la poetica di Mari sarà la sua adesione al movimento dell’Arte cinetica, avvenuta proprio in quegli anni, e l’amicizia con il famoso Bruno Munari, il quale influenzò alcuni dei suoi lavori futuri, come ad esempio 16 animali e 16 pesci.
Sarà però il collettivo artistico, il cui slogan era “il nostro scopo è fare di te un partner”, a far riflettere per la prima volta Mari sul tema del consumatore. Mentre la visione tradizionale vedeva il fruitore come un soggetto totalmente passivo, Mari inizia a pensarlo come un soggetto attivo e pensante, un fruitore attivo dell’oggetto e del processo (quello del design).
Dagli anni 2000 ricevette alcuni importantissimi riconoscimenti. Tra gli altri, nel 2000 la Royal Society of Art gli conferì il Royal Designers for Industry e nel 2011 ricevette il suo quinto e ultimo Compasso d’Oro, quello alla carriera.
È proprio nel 2011, con la pubblicazione di 25 modi per piantare un chiodo, che Mari arriva ad affermare “che il design abbia significato se comunica conoscenza”, il pensiero-summa di anni di riflessioni e di lavoro.

Mentre la carriera del designer italiano decollava – ricordiamo, ad esempio, il primo Compasso d’Oro nel 1967 e la partecipazione all’esibizione “Italy: the new domestic landscape” al MOMA di New York nel 1972, la mostra che segnò la nascita e la diffusione del Made in Italy a livello globale – Mari non smise mai di interrogarsi sul senso profondo della sua professione. Nel 1974 pubblicò “Funzione della ricerca estetica”, spostando il fulcro dibattito dal design del prodotto alla figura del designer.
Probabilmente sta qui il successo e la famigliarità che suscitano i pezzi di Mari. Trovandosi di fronte al cestino In Attesa (prodotto da Danese), oppure alla sedia Delfina (prodotta da Rexite) o, ancora, alla Sedia n. 1 (il primo completo d’arredo pensato per essere assemblato dall’acquirente), non ci troviamo di fronte a degli oggetti-muti, ma ad oggetti che interagiscono con noi e con le nostre necessità. I pezzi di Mari hanno la capacità di parlare la nostra lingua e di farci sentire compresi.
Una mostra in onore di Enzo Mari è stata organizzata alla Triennale di Milano ed è visitabile fino al 18 aprile 2021, dove sono presentate le opere realizzate in 60 anni di attività.
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