Lo splendore di Venezia
admin 23 Febbraio 2016

Attraverso gli occhi di Canaletto, Bellotto, Guardi e dei grandi vedutisti dell’Ottocento

–   La Mostra a Palazzo Martinengo di Brescia, dal 23 gennaio a 12 giugno 2016  –

 

Il vedutismo veneziano ha come soggetto una delle città più affascinanti del mondo. Crogiolo di arte, cultura, religioni, commerci, monumenti e scorci mozzafiato, Venezia ha sedotto viaggiatori, mercanti, letterati e soprattutto pittori, che hanno fissato sulla tela piazze, chiese, canali, luci, riflessi e le mutevoli atmosfere di questo luogo fuori dal tempo. Nel corso dei secoli la città è stata così spesso immortalata da artisti italiani e stranieri da determinare la nascita del vedutismo, filone iconografico particolarmente apprezzato dai colti e ricchi viaggiatori del Grand Tour, desiderosi di tornare in patria con una fedele istantanea delle bellezze ammirate nel Bel Paese.

Fino al 12 giugno 2016, palazzo Martinengo accoglie una selezione di capolavori di Canaletto, Bellotto, Guardi e dei più importanti vedutisti del XVIII e XIX secolo, provenienti da collezioni pubbliche e private italiane ed europee, alcuni inediti e altri mai esposti in pubblico, che dimostrano come la fortuna del genere non si esaurì con le decadenti vedute di Francesco Guardi di fine Settecento, ma ebbe straordinaria vitalità ancora per tutto l’Ottocento. Il percorso espositivo è inaugurato dai due padri nobili del vedutismo veneziano: Gaspar van Wittel – il primo a eseguire vedute topograficamente fedeli negli ultimi anni del Seicento – e Luca Carlevarijs, che restituì l’immagine di una città monumentale e grandiosa, gremita da colorate e spigliate macchiette.

 

Entrambi aprirono la strada allo straordinario talento di Canaletto, protagonista della seconda sezione. Qui, le sue vedute, immerse in una luce cristallina, dai tagli impaginativi dilatati grazie all’ausilio della camera ottica, dialogano con quelle dalle tonalità bigie e lattiginose del padre Bernardo Canal, e con quelle dagli intensi contrasti chiaroscurali del nipote Bernardo Bellotto, che otterrà poi grande successo presso le corti europee di Dresda, Vienna e Varsavia.

Nella terza sezione sono esposti i lavori dei maggiori vedutisti attivi tra il secondo e il terzo quarto del XVIII secolo, ognuno dei quali fornì la propria personale interpretazione sentimentale e pittorica dei luoghi più celebri di Venezia: gli italiani Michele Marieschi, Antonio Joli, Apollonio Domenichini, Antonio Stom, e lo svedese Johan Richter, allievo di Carlevarijs, che utilizzò un’originalissima tavolozza basata sulle tonalità dei rosa, dei gialli e degli arancioni.

Cento capolavori raccontano l’incanto della città che ha rappresentato, più di ogni altra, un mito intramontabile nell’immaginario collettivo.

Nelle sezione “Venezia riflessa nel rame” si ammira una raffinata selezione di incisioni di Canaletto, Marieschi e Visentini. Grazie alla tiratura in migliaia di esemplari, le loro stampe contribuirono a diffondere l’immagine della Serenissima in tutta Europa e a consolidarne il mito. LospazioassolutoeidealizzatodellaVenezia di Canaletto diventa un luogo vago e remoto nelle opere che Francesco Guardi realizzò nella seconda metà del XVIII secolo: una città vista in dissolvenza tra bagliori luminosi e indistinti aloni di colore che preludono alla pittura moderna, anticipando le atmosfere sentimentali dell’estetica romantica.

Figura-chiave del passaggio del vedutismo tra Settecento e Ottocento fu Giuseppe Bernardino Bison, che interpretò con sensibilità romantica la grande tradizione del Grand Siècle, di Canaletto e di Guardi. Le sue tele, briose e spumeggianti, sono messe a confronto con quelle di altri artisti attivi nella prima metà del XIX secolo, quali Vincenzo Chilone, Giovanni Migliara, Giuseppe Borsato, Francesco Moja e Giuseppe Canella. Ideando inediti scorci, atmosfere e contesti, questi pittori contribuirono a rinnovare l’immagine di Venezia, attualizzandola e arricchendola di dettagli. Dopo la sala dedicata a Luigi Querena, Francesco Zanin e ai membri della famiglia Grubacs, si incontrano i dipinti di Ippolito Caffi, che più di ogni altro seppe staccarsi dalla tradizione settecentesca modernizzando il proprio lessico pittorico in direzione del romanticismo europeo, esplorando nuovi soggetti e atmosfere, come nei suggestivi notturni squarciati da lampi di luce. Infine, nell’ultima sezione sono protagoniste tele realizzate negli ultimi due decenni del XIX secolo da Guglielmo Ciardi, Pietro Fragiacomo e Rubens Santoro, artisti sensibili agli echi dell’Impressionismo che, con la loro osservazione della luce e dei colori della laguna al variare delle ore del giorno, perpetuarono il fascino intramontabile della città fino alle soglie del Novecento.

A conclusione, quale ultima “chicca” della mostra, la sezione “Venezia teatro della vita”, con i dipinti con scene di vita quotidiana ambientate in campi e campielli, tra calli, piazze e canali, a firma di Milesi, Zezzos, Favretto, Belloni, Da Rios e Inganni.

 

Davide Dotti

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