Palazzo Loschi Zileri dal Verme – Le sculture
Fabio Noli 6 Ottobre 2021

Il mito del mondo classico è un tema ricorrente nella storia dell’uomo. Uno dei massimi teorici del neoclassicismo, Johann Joachim Winckelmann parlava di un’arte di “nobile semplicità e quieta grandezza”. C’era chi guardava alla Grecia classica, chi alla Roma antica.

Nella collezione di Palazzo Loschi Zileri dal Verme – soprattutto nella scelta scultorea – ritroviamo questo importante fil rouge: l’amore per un classicismo puro e “incontaminato”, legato a sua volta al recupero della mitologia.

Nelle stanze ritroveremo opere d’arte in cui la mitologia di riferimento è quella classica, altre in cui la mitologia diventa “profana” e più “moderna”.

Scopriamo insieme questo percorso attraverso le epoche e le diverse concezioni di classicismo, neoclassicismo e Illuminismo. 

Lo scalone principale

Allegoria dei quattro continenti. Stucco modellato. Arte del XIX secolo, Roma.  Stima: 20.000 - 30.000 euro.
Allegoria dei quattro continenti. Stucco modellato. Arte del XIX secolo, Roma. Stima: 20.000 – 30.000 euro.

Salendo il candido scalone principale incontriamo quattro grandi sculture del XIX secolo in stucco modellato raffiguranti l’Allegoria dei quattro continenti. L’importante gruppo allegorico raffigura quattro giovani donne, ognuna metafora di un continente. L’Africa è raffigurata come una fanciulla con una corta veste a fianco ad un cippo su cui è adagiata una pelle di leone. l’Asia, vestita alla turca, regge in una mano uno scrigno semi aperto da cui escono foglie di spezie. l’America stringe una cornucopia ed ai suoi piedi sacchi e imballi sono simboli di prosperità e commercio. Infine l’Europa, dalla testa cinta da una corona, regge uno scettro che reca sulla sommità un globo terrestre, simboli della supremazia sui mari e nelle scoperte di nuove terre.

L’Ingresso

Ad attenderci all’ingresso Due baccanti di Humphrey Hopper in scagliola patinata, prodotte in Inghilterra agli inizi del XIX secolo. Lo scultore inglese era specializzato in soggetti ispirati alla classicità antica ed eseguì numerosi lavori per committenze pubbliche e private riscuotendo notevole successo.

Busti degli Imperatori , Traiano (53-117 d.C.), Cesare (100-44 a.C.) Vitellio (15-69 d.C.) Tito (9-79 d.C.). Marmo Arte tardo-rinascimentale Roma, seconda metà del XVI secolo. Stima: 50.000 - 70.000 euro.
Busti degli Imperatori , Traiano (53-117 d.C.), Cesare (100-44 a.C.) Vitellio (15-69 d.C.) Tito (9-79 d.C.). Marmo Arte tardo-rinascimentale Roma, seconda metà del XVI secolo. Stima: 50.000 – 70.000 euro.

Meritano di essere citati anche i Quattro busti tardo-rinascimentali in marmo raffiguranti gli Imperatori Traiano, Cesare, Vitellio, Tito. Questo raro insieme di ritratti, dalla magnifica patina traslucida, bene si identifica nei modelli stilistici del Cinquecento ispirati alla classicità antica, spesso presa a modello non solo artistico ma anche filosofico e morale.

Al centro della stanza troneggia la candida rappresentazione de L’allegoria dell’Innocenza in marmo bianco firmata da Pio Fedi. Il raffinato lavoro, in cui la purezza delle forme già si palesa nelle lucenti trasparenze del marmo di Carrara, è magistralmente scolpito nei modi di un romanticismo ancora permeato da sentimenti neoclassici. 

Pio Fedi, Allegoria dell’Innocenza. Marmo bianco. Stima: 15.000 - 20.000 euro.
Pio Fedi, Allegoria dell’Innocenza. Marmo bianco. Stima: 15.000 – 20.000 euro.

Pio Fedi (Viterbo 1816 – Firenze 1892) fu uno tra i massimi artisti del secondo Ottocento italiano, formatosi tra Roma e Firenze accanto ad importanti maestri come Pietro Tenerani (Carrara 1780 – Roma 1889) e Lorenzo Bartolini (Vernio 1777 – Firenze 1850) che elesse Firenze come sua città di adozione e dove aprì il suo atelier attorno al 1842.

La Sala da Ballo e la Sala di Apollo

Eros e la Musa Erato. Marmo bianco. Arte neoclassica del XIX secolo. Stima: 30.000 - 40.000 euro.
Eros e la Musa Erato. Marmo bianco. Arte neoclassica del XIX secolo. Stima: 30.000 – 40.000 euro.

Al centro della suggestiva Sala da Ballo la scultura in marmo bianco Eros e la Musa Erato rapisce la scena: la qualità eccezionale di questo esemplare di arte neoclassica è rara da trovare in una dimora privata.

In questo stesso ambiente troviamo due sculture che ricopiano chiaramente modelli antichi. 

Per prima l’Amazzone ferita in marmo bianco, da uno scultore italiano neoclassico. La statua, che raffigura una donna guerriera dal seno scoperto, vestita da un corto chitone, nell’atto di impugnare l’estremità superiore dell’arco mentre ai suoi piedi sono disposti l’elmo, lo scudo e l’ascia, prende a modello quasi palmare dell’esemplare di epoca romana nei musei capitolini a Roma derivato da un originale greco del quinto secolo eseguito per il Santuario di Artemide a Efeso.

Un altro esempio è la Testa dell’Imperatore Marco Aurelio in terracotta, probabilmente del XVI-XVII secolo, chiaramente derivata da un’opera di epoca romana.

Passando alla lussuosa Sala di Apollo ci attende un raffinato esempio di modellazione della cartapesta: Amore e Psiche è un’opera in papier machè del XVIII-XIX secolo.

Amore e Psiche. Papier machè modellato e dipinto. Arte neoclassica italiana, XVIII-XIX secolo. Stima: 8.000 - 12.000 euro.
Amore e Psiche. Papier machè modellato e dipinto. Arte neoclassica italiana, XVIII-XIX secolo. Stima: 8.000 – 12.000 euro.

Il tema mitologico di Amore e Psiche è caro all’arte neoclassica: qui la fanciulla mette simbolicamente la sua anima, nelle sembianze di farfalla, nelle mani di Amore che appare intento a nascondere l’arco, causa della travagliata vicenda amorosa. L’uso di un materiale leggero ed “effimero” come la cartapesta è legato all’utilizzo delle opere in ricchi ed elaborati apparati scenici sacri oppure in festose coreografie profane durante le feste e i cortei.

Il salotto e la sala da pranzo

Importante coppia di candelabri in bronzo dorato e patinato “au bon sauvage”, manifattura di Luigi Manfredini (Bologna 1771, Milano 1840). Stima: 25.000 – 35.000 euro.

Il fil rouge mitologico ci accompagna anche nel salotto. Dai miti classici passiamo a miti più moderni, e in questo senso è significativa lImportante coppia di candelabri in bronzo dorato e patinato “au bon sauvage”, manifattura di Luigi Manfredini (Bologna 1771, Milano 1840).

A cavallo tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo furono realizzati diversi oggetti d’arte denominati au bon sauvage, il buon selvaggio. La fascinazione per l’”esotico” nacque con la prima spedizione di Cristoforo Colombo ed arrivò a formare un vero e proprio mito popolare: l’uomo “primitivo” e “selvaggio” era visto come fondamentalmente buono in quanto essere semplice e naturale, non contaminato dai vizi della società moderna. Un mito fondato sul principio di stato di natura, secondo cui la diseguaglianza tra gli uomini è il mero risultato di un’organizzazione malsana della società. Il mito del buon selvaggio si diffuse dai missionari cattolici ma ben presto divenne patrimonio della società laica, accolto con grande eccitazione in tutta Europa. 

L’ipotesi attributiva dei candelabri conduce in ambito italiano, più specificamente nelle manifatture milanesi che operarono nei primi decenni del XIX secolo. Fra queste la più celebre fu quella di Francesco Manfredini, diretta poi la Luigi e Antonio Manfredini a partire dal 1811, sempre al passo con le ultime tendenze stilistiche. Già nei primi lavori di questi fonditori si assiste ad una rimeditazione di caratteri neoclassici nella linea degli ornatisti e architetti attivi ai primi del secolo. Sotto la Restaurazione, la bottega dei fratelli Manfredini era già famosa in tutta Europa.

Arrivati nell’ampia sala da pranzo l’occhio viene catturato da de bozzetti raffiguranti Diana e Giunone, in terracotta modellata (stima 5.000 – 7.000 euro). La coppia, probabilmente uno studio preparatorio per un’opera di grandi dimensioni, riproduce nei modi del primo neoclassicismo le due Dee assise su una roccia con i loro simboli identificativi – il pavone per Giunone e la fonte d’acqua per Diana.

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Fabio Noli