Nel numero preceden te di “Cambi Auction Magazine”(n. 9, settembre 2015) abbiamo presentato la miniatura nella duplice veste di dipinto di piccolo formato e di tecnica pittorica. In questa occasione intendiamo illustrare alcuni criteri con i quali costituire una raccolta. A parte il gusto personale, che rimane sempre e comunque una scelta indiscutibile, una collezione acquista maggiore consistenza (anche per i risvolti economici) quanto più è omogenea, soprattutto nella qualità, che paga sempre. Le opere certe, firmate da autori repertoriati, danno evidentemente maggiori garanzie, ma anche molte miniature anonime, costantemente nel mirino degli studiosi, possono riservare piacevoli sorprese.

Un criterio di carattere generale consiste nella scelta dell’area geografica da privilegiare, ad esempio la scuola italiana, francese, tedesca o inglese. Un passo ulteriore è costituito dalla tipologia da ricercare, di solito scelta nell’ambito del ritratto, il genere più frequentemente rappresentato (ma ci sono anche paesaggi, nella variante del fixé). Nel periodo di tempo considerato (1775-1825 circa), che rappresentò l’età aurea per la miniatura, la committenza, originariamente solo aristocratica, andò allargandosi all’alta e media borghesia. Il ritratto si diramò in più varianti, che possono oggi costituire altrettanti filoni di ricerca: quello pubblico, più formale (ad esempio, le dinastie regnanti, come i Savoia, i Borbone, ecc.), e quello privato, più intimo (come i bambini, spesso raffigurati con i loro giochi).
Un altro filone prediletto è costituito dai ritratti di militari (fig. 1), un’iconografia frequente in un’epoca di guerre che dividevano le famiglie. Anche i ritratti di personaggi famosi, legati alla storia, alla cultura e all’arte dell’epoca, suscitano sempre interesse. Un altro aspetto che può essere privilegiato nel collezionismo di miniature è la rappresentazione della moda dell’epoca, così fantasiosa e attenta ai dettagli. I temi mitologici, invece, rientrano nell’interesse più generale per il Neoclassicismo (fig. 2).

Un discorso a sé è costituito anche dalle miniature d’aprés del primo Ottocento, tratte da dipinti di grandi dimensioni rinascimentali e barocchi o contemporanei, spesso acquistati originariamente da gentiluomini europei durante il Grand Tour. Esistono poi miniature d’epoca realizzate da nobili dilettanti: era d’obbligo per gli esponenti della buona società l’esercizio virtuoso delle arti, che in qualche caso soddisfaceva anche una vocazione personale. Tale pratica spesso trovava conclusione nella partecipazione a esposizioni pubbliche, come quella di Brera a Milano, in particolare nel corso degli anni venti e trenta dell’Ottocento. Per completezza va menzionato, infine, un collezionismo minore, più economico, ma che nel tempo non paga perché le opere non si rivalutano, di miniature tarde, realizzate alla fine dell’Ottocento (o agli inizi del Novecento) su ispirazione di originali di artisti rappresentativi del Settecento europeo. Il ritorno di interesse nei confronti della civiltà del XVIII secolo prese avvio tra il settimo e l’ottavo decennio del XIX secolo nei salotti borghesi, a partire dalla Francia, propagandosi poi anche in Italia. Frutto di questo gusto sono le miniature denominate “pastiches”, realizzate anche su supporto sintetico (avoriolina), opera di anonimi copisti, non identificabili, che hanno interpretato in epoca moderna lo stile e la tecnica di opere del Settecento (fig. 3), spesso firmandosi con il nome dei loro prototipi. Luigi De Mauri [Ernesto Sarasino], nel celebre manuale L’Amatore di Miniature su Avorio (Secoli 17°-18°-19°), pubblicato a Milano nel 1918 per i tipi di Hoepli, accennava proprio ai“pasticci”, definendoli “né originali, né copie, fatti nella maniera e sul gusto di un dato pittore”(p. 518).

Questi pittori in miniatura che lavoravano nel gusto del Settecento, più o meno abili, prendevano a modello miniature o quadri famosi: i soggetti creavano l’illusione, ma lo stile leccato, i colori impiegati, l’attenzione primaria agli accessori (con particolare riguardo ai fiori) e al fondo, trattati con la stessa importanza del ritratto, rimandavano all’epoca reale dell’esecuzione. Uno dei migliori, in Francia, fu Louis Cournerie (1820-1897 circa), addirittura scambiato per un artista del XVIII secolo da Bénézit e da Thieme e Becker (N. Lemoine-Bouchard, ad vocem, in Les Peintres en miniature. 1650- 1850, Paris 2008, p. 170). La Wallace Collection di Londra conserva alcune sue opere, fra numerosi esempi di imitazioni ottocentesche di opere del Settecento, soprattutto francesi:“The most recent works in the collection are by artists who were the contemporaries of the collectors … The impulses which led to the acquisitions of these later miniatures were varied. The desire for portraits of historically important people … A liking for the portraits of actresses and other beautiful women …”(G. Reynolds, Wallace Collection Catalogue of Miniatures, London 1980, p. 14).
Più che pensare a dilettanti che copiavano opere famose per esercizio, il fine era di tipo commerciale: produrre immagini piacevoli, che vendevano bene. Lo stesso De Mauri così commentava il fenomeno: “L’avidità con cui gli Amatori di cose d’arte in questi ultimi anni cercano le miniature, se da un lato ha promosso la sfacciata falsificazione, assecondata, naturalmente, dagli artifizi della maggior parte degli antiquari…”, per concludere:“al giorno d’oggi la falsificazione si esercita su larga scala, complici gli antiquari negozianti, presso i quali, d’ordinario, non si trova di vero che il dieci, non dico per cento, ma per mille!”(1918, pp. 412, 520).
Chiara Parisio
Chiara Parisio, storica dell’arte, è autrice di numerosi contributi su ritrattisti in miniatura italiani, fra i quali si ricordano le monografie dei pittori GB Gigola (2002), Francesco Emanuele Scotto (2009) e Ferdinando Quaglia (2012) e la raccolta antologica Ritratti in miniatura nella Milano neoclassica (2010)